Corrispondenze per il Telegrafo del 1 e 6 Maggio 1936
Il Telegrafo del 1 maggio 1936
Serata cinematografica sotto il bel cielo d'Africa
Samre', aprile
Che a trenta chilometri dal nostro campo, e precisamente nei pressi del villaggio ove e' accampato il Comando di Divisione, c'era il cinematografo e si davano spettacoli serali, con la proiezione di pellicole sonore e parlate, ce lo avevano detto giorni fa i nostri conducenti, reduci da una corve' che li aveva portati alla sede del Quartier Generale della "XXIII Marzo"ove avevano assistito all'inatteso spettacolo. Ma noi eravamo rimasti un po' increduli. Il cinema a poche diecine di miglia dalle prime linee? Il "sonoro e parlato" a cento chilometri oltre Macalle'?...Ma va' la'!
Poi sono venuti gli autisti delle autocarrette, giunti fino a noi con le loro traballanti e snodate "cassettine"; e ci hanno dato la conferma. Il cinema c'e' e funziona realmente. All'aperto, e' sorta la cabina di proiezione, e' stata improvvisata una vasta platea con posti a sedere...in terra e sui sassi, e' sttao steso un telone candido e tutte le sere si da' spettacolo dalle ore 21 alle 23. Ingresso gratuito, senza limitazione nel numero degli spettatori.
Ogni giorno nuovo programma. Il film "Luce" si ripete per tre spettacoli consecutivi, Negli intervalli, funzionera' la fanfara di un battaglione Camicie nere. nelle vicinanze della...sala di proiezione sorgono alcune baracche-spacci in funzione di caffe' e bar..:E chi piu' ne ha piu' ne metta.
Come si fa, dopo tanti mesi d'Africa, a resistere a quel richiamo di civilta' e di vita, che sotto forma del "sonoro e parlato" giunge fino a noi dalle rertrovie, valicando in un sol balzo tre o quattro ambe e un paio di fiumi, senza contare i vari chilometri di pianori sabbiosi?
Dai, picchia e mena, prega e riprega, corri a destra e a sinistra, riusciamo a strappare un permesso di poche ore. Un "permessino" che e' per noi piu' di una licenza illimitata, un foglietto di carta, sul quale sono tracciate parole miracolose: "Si permette alle CC.NN. Tizio, Caio e Sempronio ecc. ecc. di recarsi a X. e di usufruire, sia per l'andata che per il ritorno, di automezzi di trasporto sia militari che privati". Una firma, un timbro. Sei biglietti di viaggio. Sei ingressi al cinema. Sei camicie nere che toccano il cielo con un dito.
Viaggio in autocarretta
Il sole e' sempre alto quando giungiamo al nucleo avanzato di sussistenza, ove speraimo trovare l' "imbarco". Abbiamo lasciato il campo in fretta e furia, tralasciando anche di consumare il secondo rancio, nel timore di non giungere al "nucleo" prima della partenza dell'ultima autocolonna. Infatti facciamo appena in tempo ad afferrare al volo alcune pagnotte che i camerati della sussistenza ci porgono dietro nostra richiesta che l'ultima carretta, vuotata del suo carico, riprende la via del ritorno.
Uno, due, sei salti e ci troviamo ammassati dentro la "cassettina" a quattro ruote. L'autista, dalla improvvisa invasione, preme sul freno a pedale ed interrompe la marcia appena iniziata. Piuttosto accigliato, scende dal sedile di guida e ci invita a fare altrettanto: A terra! Che modi son codesti? Lo sapete che e' proibito?
- Proibito cosa?
- Trasportare militari. Sveglia! Scendete!
Senza fretta, studiandomi anzi di esser piu' lento possibile, tolgo di tasca il fogliettino magico, lo spiego e lo pianto sotto gli occhi dell'autista. "Ah!", fa lui. Ingolla un po' di saliva e poi: Allora va bene. State pure. Ma sorreggetevi forte alle sponde e preparatevi a gettar fuori la cena. La strada non e' ancora cilindrata: balleremo discretamente. - Ritorna al suo posto, mette in moto e fa muovere la carretta. Tran...tran...Si parte!
Le ruote girano nella sabbia, una nuvola di polvere rossastra si alza intorno a noi, la "cassetta" ondeggia e noi ci aggrappiamo alle sponde. Si balla, si traballa. A momenti sembra che la carretta non voglia intenderla di tenere la strada e salta e si impenna come un puledro indomito. Forse l'autista si diverte a farci ballare. Lo fa apposta: cerca i peggiori passaggi, tutti i sassi e tutte le buche della strada son nostri...E lui, impassibile e attento, stringe tra le mani il volano e sembra non curarsi del nostro tormento. Che poi, e' anche il suo, questo che a noi, abituati a camminare a piedi, embra un gran tormento.
E' la sua fatica di tutti i giorni, e' il suo tributo alla vittoria come questo continuo traballare su quattro ruote che scorrono nella sabbia, sulla roccie e financo nel greto dei fiumi. Quando la strada e' appena tracciata, quando le mine non hanno ancora vinta la roccia, quando insomma la via agli automezzi e' preclusa, la cassetta "antiestetica e traballante" passa lo stesso. E gli autisti - che noi talvolta invidiamo durante le nostre marcie - portano i loro "muli meccanici" su per sentieri che non meritano il nome di mulattiera e giu' per dirupi e scoscesi paurosi, traversano distese di aride sabbie, boscaglie intricate e, a prezzo di fatiche gravi quanto oscure, combattono la loro battaglia, fanno la loro guerra, mentre chi non sa, chi non ha provato "a ballare" guarda con invidia a loro che vanno in automobile.
Tran...tran...Un chilometro dietro l'altro, la strada passa. E' finito il tratto sabbioso e stiamo ora per affrontare una ripida discesa che conduce ad un torrente ricco di acque. Ma improvvisamente la carretta si ferma. L'autista, a terra, ci fa segno di scendere. "Mezz'ora di sosta", dice, indicando il fondo valle.
Dal torrente, su per quelle che tra cinque o sei giorni sara' una camionabile perfetta, avanza una colonna di cammelli. E' teerminata l'abbeverata e i neri cammellieri spingono i loro quadrupedi, carichi fino all'inverosimile, su per il tracciato stradale. Lentamente, accompagnandosi con il caratteristico movimento della testa, i cammelli salgono, incitati dai loro conducenti. legati l'uno all'altro, venti animali procedono sotto la guida di un solo uomo. E cosi', in fila distinte, raggiungono il pianoro ove la carretta sosta in attesa che la carovana lasci la via libera.
Lanciando il loro nitrito, che sembra una risata ironica, i cammelli all' "Uuuh!" gridato dai conducenti, si piegano sulle ginocchia anteriori, prima, e su quelle posteriori poi, per assumere il consueto e indolente atteggiamento di riposo. I cammellieri aggiustano i carichi, tirano le cinghie e curano con speciale attenzione questo o quel quadrupede fiaccato.
Osserviamo l'armeggio dei diavoli neri, quando la voce di uno di essi risuona come un richiamo. I cammellieri accorrono intorno a quello che ha parlato e, disponendosi in semicerchio, sembrano disporsi per un sacro rito. E cosi' e' infatti.
I nostri cammellieri appartengono tutti alla razza di Ben-Amhur. Tra i piu' fedeli dei nostri soldati eritrei, professano al pari degli indigeni del bassopiano e della costa, la religione mussulmana. E come tutti i maomettani, sono devoti a ligi alle prescrizioni del "Corano".
Fedeli all'Italia come lo sono tutti i mussulmani dell'Eritrea e della Somalia, i Ben-Amhur nutrono per la Patria lontana un attaccamento pari al loro fanatismo religioso. Cosi', combattono meglio di tutti gli altri indigeni e vanno incontro alla morte con la noncuranza fatalistica di quella razza, che crede nel paradiso di Maometto ed alle gioie che questo riserva ai caduti in combattimento.
A differenza dei cristiano-copti, i maomettani non ammettono restrizioni o compromessi in fatto di Religione. Non sono quindi in balia di questo o quel sacerdote, ne' debbono sottostare ai capricci del primo ras che assume pose da riformatore. Ogni mussulmano e' in se stesso un tempio, una moschea. E quando deve pregare, prega anche se solo e sperduto nell'immensita' delle sabbie o delle ambe africane. I copti invece, orano soltanto con l'assistenza del clero e non tralasciano mai di dare alle loro preghiere quel carattere pomposo e un tantino comico, che contrassegna del resto tutte le cerimonie e le azioni collettive della gente di razza tigrina od amharica.
Contrariamente agli ascari di religione copta, che marciano sempre seguiti dal sacerdote e non pregano che raramente, i mussulmani - e particolarmente i cammellieri Ben-Amhur - non tralasciano mai di recitare quelle preghiere che il Corano prescrive loro.
E cosi', al semplice cenno del piu' anziano, i venti indigeni, conducenti la colonna che ha costretta ad una sosta la nostra carretta, si dispongono per la preghiera della sera.
E' il tramonto. Ed ogni buon maomettano non puo' e non deve lasciar calare il sole senza prima essersi rivolto alla Mecca ed aver invocato ad alta voce il grande Allah e Maometto suo profeta.
I nostri cammellieri, mormorando una nenia che ricorda il fusciar del vento tra le foglie dei palmizi, si prostrano fino a baciare il suolo. Nel fervore della preghiera, i loro occhi sono fissi verso un punto immaginario. Valicando immensita' di spazio e superando la catena di monti che cingono l'orizzonte, gli sguardi di questi fedeli si portano al di la' della terra d'Africa e del mare e si posano sulla Citta' Santa, sulla cima del piu' alto minareto, ove il "mullah", salutando il calar del sole, ripete alle genti che v'e' un solo Iddio: "Allah e Maometto e' il suo profeta".
La preghiera volge al termine. Gli uomini si rialzano, sollevano le braccia al cielo e gridano per l'ultima volta il nome a loro sacro: Allah! Il sole e' ormai nascosto la' dietro quell'amba che appare coperta da un velario di fuoco e brilla delle mille luci del tramonto. I cammelli, senza attendere il segnale, si rialzano, si muovono e lentamente riprendono il cammino.
Giu', nella vallata ove scorre placido il torrente, risuona la risata stridula dela iena e il latrare pauroso del gattopardo. Calano le ombre della sera ed i carnivori escono dalle loro tane: l'una per pascersi degli avanzi di una carogna, l'altro per balzare con feroce brama sul corpo di una timida gazzella e dilaniare tra i suoi artigli le tenere carni. Intanto placano la loro sete, che la paura degli uomini ha fatto loro contenere per un giorno, e gridano di gioia per l'imminente festino notturno.
I cammelli, avvertiti della presenza delle fiere, accelerano l'andatura e marciano spediti verso il posto di tappa. I cammellieri Ben-Amhur, avvolti nel bianco barracano che nasconde la divisa kaki, ci passano vicino e salutano romanamente. Un leggero venticello alza nuvolette di sabbia e viene a sfrzare le nostre faccie. Giu', ai amrgini del torrente, alcuni palmizi, sferzati anch'essi dal vento, si piegano e si divincolano, facendo ondeggiare la verde chioma.
La nenia dei cammellieri, che nuovamente risuona nello spaziom completa il quadro e rende piu' suggestiva questa visione dell'oriente pittoresco.
Ma tra pochi istanti il rumore del motore coprira' la canzone degli indigeni, fara' tacere e fuggire le fiere, ci richiamera' alla realta' delle cose e ci ricordera' che "laggiu' " il cinema attende il nostro arrivo. L'occidente dopo l'oriente. Potra', pero', il "modernissimo sonoro e parlato" annullare la visione quasi irreale e certamente meravigliosa che per mezz'ora ci ha tenuti inchiodati nella contemplazione di un quadro tutto lucente di pittoresco e di nuovo?
Tran...tran...la carretta discende lenta verso il fondo valle. Il ballo riprende e continuera' ancora per un'ora buona. Tran...tran...le ruote girano, il motore batte colpi precisi e ritmati, l'autista ci guarda e sembra dirci, con quel sorriso che illumina la sua faccia matida di sudore e coperta di polvere: Come va la scarrozzata? Si balla, eh! Ma io non lo faccio mica apposta; anzi, fo del mio meglio...
E che non lo faccia apposta ne siamo ormai convinti anche noi, perche' vediamo quanto fatichi il bravo ragazzo a tenere la carretta in istrada e comprendiamo che, malgrado l'allenamento, anch'egli non si trova in una troppo comoda posizione. E ci diciamo sottovoce: E dire che si ha il coraggio di invidiare i carrettisti.
Dino Corsi
Il Telegrafo del 6 maggio 1936
Sosta nel cuore della regione del Lasta
Al confine tra il Tigrai e l'Amhara, la regione del Lasta, delimitata dai corsi del basso Tacazze' e del Samre', sta come un cuneo piantato in cavita' al centro di quello che e' attualmente il fronte nord della nostra armata operante in A.O.Distese immense di arida sabbia, colline verdeggianti, della piu' svariata vegetazione e popolate da tribu' indigene, riunite in tanti piccoli villaggi; ambe quasi insormontabili, che dal piano si alzano solenni e maestose verso il cielo; torrenti di acqua sorgiva, correnti in gole sotterranee ed in caverne oscure e paurose, per poi sboccare ed espandersi allegramente aui pianori sabbiosi o giu' per fertili colline; pascoli immensi, popolati in prevalenza di capre e da mandrie di zebu'; clima torrido di giorno e temperato alla notte; queste sono le caratteristiche della regione che ospita oggi i legionari della "23 Marzo" e che vede da un mese la laboriosa attivita' delle Camicie nere, impegnate alla costruzione di opere di pace e di guerra.
Da Bet-Mariam a Socota' corrono quasi centocinquanta chilometri, tracciati ieri da primitivi sentieri e mulattiere e attraversati oggi da una camionabile ampia, pianeggiante, dal fondo ottimo e valida per il passaggio di ogni mezzo di trasporto: dalla aerodinamica vettura da turismo al potente autocarro "34".
Reduci dalle vittoriose imprese nel Tembien, le legioni, effettuando la marcia parallelamente alle colonne puntanti su Gondar e sul lago Ascianghi, raggiunsero senza colpo ferire tutti gli obbiettivi loro assegnati e portarono il tricolore d'Italia fin nel cuore del Lasta; a Socota', nella capitale di quella regione, che tagliata fuori dalle principali vie di comunicazione, si presenta come una delle piu' selvaggie del Tigrai e dell'Amhara.
Le popolazioni, festanti per l'arrivo degli italiani - arrivo che ha aperto in queste misere genti, rese simili a bestie dai soprusi, dalle vessazioni e dalle angherie dei ras, un'era di bene e di liberta' - salutarono con feste, con fantasie di gioia, con canti e suoni dai caratteristici strumenti in pelle di zebu', formanti tutta la batteria orchestrale di questi indigeni, il giungere dei militi della Prima Divisione, dei fanti e degli artiglieri della "Sila", e di tutti i vari reparti del 3.o Corpo d'Armata.
E subito le popolazioni, che non si erano opposte alla nostra avanzata, diedero la prova della loro comprensione e della loro riconoscenza, aderendo all'invito dell'autorita' militare e consegnando le armi possedute e mettendosi a completa disposizione dei Comandi le truppe operanti. Poi, a schiere, a centurie, tutti gli indigenti hanno alternativamente affollati gli ospedali da campo avanzati e si sono sottoposti lietamente alla vaccinazione. Uomini di tutte le eta', donne e bambini sono scesi sin dai villaggi piu' lontani per correre appresso alle candide tende Roma della Croce Rossa, ove instancabili, gli ufficiali medici, gli assistenti e gli infermieri imprimevano sulle loro carni ed iniettavano nel loro sangue i primi segni della civilta' e del bene.
E sono scesi anche dai villaggi piu' lontani, da quegli agglomerati di tucul sparsi tra il fogliamo di intricate boscaglie o piantati in vetta ad un roccione dalle pareti dolomitiche, ove non erano ancora giunte le nostre truppe.
Sono venuti nei nostri campi a file interminabili, sventolando gli sciamma piu' o meno candidi e preceduti dal capo villaggio, caracollante sul suo muletto bardato a festa, vestito degli abiti da cerimonia e recante cestelli di limoni, di frutta esotica, di uova e di ogni altra qualita' di generi commestibili, da offrire agli italiani piu' come segno di riconoscenza che di sottomissione.
E sono corsi agli ospedaletti da campo. Ed hanno cercato, ansiosi, gli "abuna" in camice bianco. I pastori - umane linee telegrafiche di queste genti - avevano gia' detto loro che gli italiani sapevano e potevano guarire il male, sapevano vincere e prevenire tutti i mali che qua minano e decimano la razza.
E, fiduciosi di quella fiducia che e' il primo grande ed incancellabile segno della vittoria degli uomini civili sui barbari, sono scesi fino a noi, ci sono corsi appresso ed hanno implorato, non invano, quella luce e quel bene, da tanto attesi e troppo negati loro.
Mentre gli alti Comandi da una parte e gli ufficiali medici dll'altra, operavano la prima bonifica degli spiriti e dei corpi, le Camicie Nere ed i fanti, scaglionati su centocinquanta chilometri di mulattiere, imprimevano sul terreno i primi segni della romanita'. Strade, pozzi, impianti idraulici, fortini, ridotte e infine, il grandioso forte costruito in sole due settimane dai militi della 202.a legione a Socota', hanno cambiato fisionomia alla regione e, alla distanza di un sol mese, tutta la zona compresa tra Bet-Mariam e Socota' e' divenuta, dalla plaga selvaggia e impraticabile quale era, una immensa e bene organizzata provincia di quello che sara' il nuovo impero romano.
Mentre le colonne operanti negli altri settori combattevano vittoriosamente, il 3.o Corpo d'Armata - i vincitori del Gabat, dell'Amba Aradam e del Tembien - occupava pacificamente queste terre e, anziche' con il sangue santo dei caduti, le redimeva con le opere di bene e con il sudore dei figli d'Italia, di quei legionari instancabili che dopo aver forgiato la Vittoria, seguono l'esempio degli antichi romani e, con il ferro e l'acciaio degli strumenti del lavoro, abbelliscono questa Vittoria, la perfezionano e la rendono completa, efficace, redditizia. Dopo il moschetto, il piccone...
Pasqua in "ridotta"
Qua ci ha trovati la Pasqua. e la festa della Resurrezione e' venuta a salutare la reale resurrezione di un popolo che da Roma ha avuto il dono divino della civilta'. La solennita' cristiana ci ha trovati intenti nelle opere di bene. E questo e' sembrato un segno della volonta' dell'Onnipotente.
In ridotta, tra quattro muriccioli di pietra a secco rotti qua e la' da vigili feritore, abbiamo trascorso la giornata pasquale. Le truppe - tutte a riposo quel giorno - Hanno abbandonato i campi trincerati solo per la Messa, celebrata con la consueta semplicita' nei pressi dei Comandi di Corpo d'Armata, di Divisione,, di Reggimento e di Legione. Poi sono tornate agli accampamenti e, in famiglia si puo' dire, hanno trascorse le ore lietamente.
I soliti fornelli improvvisati, i soliti cuochi, i soliti "mangiarini", le solite scenette e gli stessi episodi del Natale e Capodanno. E pari allegria, giocondita' e spensieratezza delle due giornate di festa trascorse ad Enda Jesus. Soltanto negli occhi, lucenti di gioia, nei gesti e nelle parole, qualcosa di nuovo, qualcosa di bello: la sicurezza della Vittoria certa e prossima. La visione delle famiglie sempre piu' vicine nell'attesa, il pensiero della Patria, non piu' lontana, ma tanto vicina nei giorni che verranno.
L'uovo pasquale si e' schiuso e ha lasciato intravedere ai legionari la via da percorrere: via lunga ancora, ancora faticosa., forse non priva di ostacoli, ma diritta, sicura e conducente alla meta finale con sicurezza. Tutte le strade conducono a Roma. E noi, attraverso l'uovo pasquale, abbiamo veduto che giungeranno nella Citta' Eterna passando per Addis Abeba.
A Dessie' vi e' ... l'autostrada che porta alla capitale; il nemico e' in rotta; quindi...Ma se, putacaso, l'autostrada fosse un mito e il Negus avesse ancora qualche armata da far battere, la nostra sicurezza di giungere a Roma attraverso Addis Abeba non verrebbe meno. Perche' nell'Entiscio', nel Farras-Mai, nel Tembien, nell'Enderta' e nel Lasta abbiamo dimostrato che le strade le facciamo da noi, prima con il pugnale, poi con il piccone. E riguardo alle armate imperiali, le inviamo per informazioni sul nostro conto a Ras Cassa, Seyum (da Mulughieta', se mai, le invieremo in seguito) e a tutte le schiere di...rassettini che, in piu' occasioni, abiamo rassettato a dovere.
"Complementi"
Dopo Pasqua subito, sono giunti i complementi ai reparti. Forse fresche, venute ad integrare i quadri delle Divisioni, dopo le inevitabili perdite che la guerra ha cagionato nei ranghi.
Camicie nere di tutte le Regioni e citta' d'Italia. Rappresentanti di ogni classe sociale. Gente di ogni eta', volontari tutti, partiti con la volonta' di combattere, animati dalla nostra passione, ardenti del nostro entusiasmo.
I senesi, tra le schiere dei complementi come tra quelle della "23 Marzo", della "Tevere", e del "Gruppo Diamanti" sono numerosi e confermano l'indiscusso primato che la Provincia di Siena si e' brillantemente aggiudicato offrendo alla Patria, al Re e al Duce un numero di volontari superiore a quello di tutte le altre province d'Italia.
Un po' ovunque, nelle cinque divisioni di camicie nere operanti sul fronte eritreo, sono andati i nostri concittadini. Alla "23 Marzo" ne son venuti un centinaio e, tra questi, i primi sono giunti all'auto reparto giorni fa.
Una visita di concittadini e comprovinciali venuti a rinforzare le nostre fila, era necessaria, obbligatoria e desiderata. Percio', appresa la notizia - portata nelle ridotte da un camerata salmierista del gruppo cammelli - siamo andati in cerca della "cappella". Il parco automobilistico dista pochi chilometri dalle nostre posizioni e cosi', dopo appena un'ora di marcia, siamo giunti alla - caserma dei coscritti.
Li abbiamo trovati distesi dentro un autofurgoncino, seminudi, che' il caldo era opprimente, e sdraiati piu' o meno comodamente nell'interno della macchina, erano immersi in un sereno sonno: il pisolino del dopo pranzo.
Due grida, quattro scossoni, occhi che si aprono, bocche che si spalancano dalla meraviglia, braccia che si tendono ed escalamazioni di gioia e sorpresa. Ci troviamo stretti in un forte abbraccio. Per alcuni momenti formiamo un gruppo solo, un cuore solo, un'anima sola. Poi le lingue si sciolgono, le domande si incrociano, le risposte si susseguono.
Rivivo l'ora gia' vissuta nell'ormai lontano ottobre, quando nel Farras-Mai incontrammo per la prima volta i camerati dei battaglioni Diamanti. Soltanto, oggi, siamo noi i "vecchi", quelli che tutto sanno, che conoscono l'Africa, che han fatta la guerra.
Come sempre, com'e' logico, dopo le prime espansioni, dopo gli inevitabili racconti delle nostre imprese e delle nostre avventure, passiamo al contrattacco e portiamo il discorso su Siena, sui senesi, sulle senesi, su tutto di Siena, insomma.
I nostri ospiti si fanno in quattro per accontentarci. Rispondono a tutte le domande, procurano di essere chiari, fanno sforzi di memoria per soddisfare alle nostre interrogazioni e ci danno l'illusione di essere tra le nostre belle mura, all'ombra del Mangia o, magari seduti sopra una panchina alla Lizza...
Un mese fa - soltanto un mese fa! - erano a Siena, a Siena, proprio a Siena! Hanno veduti, solo d trenta giorni, i comuni amici, le nostre famiglie, le nostre madri. ci portano...freschi, quasi al naturale, i baci delle mamme, delle nostre care mamme, che or'e' un mese, si strinsero al seno, forse piangendo, quei figli della Grande Madre che partivano per raggiungere i loro ragazzi lontani.
Le ore volano e giunge il momento di dividerci. Un ultimo saluto e partiamo. I nostri camerati ci accompagnano ai margini dell'autoparco, poi, lentamente, riprendiamo la via verso le ridotte, che appena si distinguono lassu' nella collina, coi loro muriccioli seminascosti dalle basse siepi di mimose.
Portiamo con noi il ricordo delle ore trascorse in compagnia dei camerati senesi. Un ricordo che non si cancellera' troppo lentamente dalle nostre memorie, perche', oltre alla fresca ondata di affetti famigliari e di spirito senese, essa ha portato in noi un nuovo motivo di orgoglio, derivato dall'aver veduto il nostro esempio seguito da tanta bella giovinezza italica.
E ricorderemo sempre i nostri cari camerati, amici di ieri, compagni di fede, ed oggi a noi uniti nella lotta per il trionfo dell'Idea Fascista e per l'espansione dell'Italia nel mondo.
"Complementi", sta scritto sulle "basse" di passaggio presenti ai Reparti. Legionari, diciamo noi, che li abbiamo veduti qua, al posto del dovere, vestiti dei nostri stessi panni, pervasi della nostra stessa passione ed ardenti di quella fiamma che arde in noi.
Legionario d'Africa, anche se i loro corpi sono "in carne", anche se le loro faccie non sono bruciate dal sole e le loro divise portano ancora le tracce del magazzino vestiario. Tra un mese saranno come noi, come tutti. E tra un mese avranno anche essi dato il loro contributo alla vittoria finale. Ed i loro corpi saranno allora piu' asciutti, le loro faccie avranno gia' la maschia tinta bronzea, i loro abiti saranno stinti e logori ed anche essi, anche i "complementi" avranno gia' provata la soddisfazione impagabile ed innegabile di servire la Patria in armi.
Quella soddisfazione intima e cosciente, che e' il piu' bel premio alle nostre fatiche, alle nostre privazioni e alle nostre vittorie.
Dino Corsi
http://www.97legione.siena.it/
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