Corrispondenze del 3 Novembre 1937 e del 3 Dicembre 1937 per "il Telegrafo"
Il Telegrafo del 3 novembre 1937
Dal Mare Nostro a Gondar italiana
Gondar, ottobreUn viaggio che e' stato come un sogno ci ha portati fin sulle piu' elevate altitudini dell'altopiano etiopico.
Dal Mediterraneo al Mar Rosso, attraverso lo stretto canale pulsante e fremente di vibrante italianita' merce' lo spirito dei nostri connazionali residenti sulle sponde africana ed asiatica, da Suez a Massaua, da qui all'Asmara, e poi piu', per quelle strade che ricordano un recente passato di vittoria e conquista, i legionari della "Valanga" hanno raggiunto Gondar, si sono accampati nei pressi della capitale dell'Amhara e stanno ora acclimatandosi al nuovo ambiente ove per mesi dovra' svolgersi la loro vita tutta dedicata al servizio della Patria, del Re Imperatore, del Duce ed alla grandezza e potenza dell'Impero di Roma.
Le centurie serrate nei ranghi e vibranti di fede, sono pronte ad assolvere qualunque compito. Il battaglione amalgama perfetto di ogni virtu' patriottica e militare, ha gia' dato le prime prove di compattezza e disciplina durante le prime giornate del lugo viaggio.
Tutte le camicie nere del 97.o hanno superato meravigliosamente i primi disagi e le prime fatiche, inevitabili in terra africana. E certo i militi sapranno domani dimostrarsi degni della fiducia che il Duce ebbe in loro il giorno che ordino' la mobilitazione della forte unita' volontaria senese.
Se anche le mete da raggiungere non saranno fulgide come quelle sognate il giorno della partenza da Siena, e' in tutti l'orgoglio di poter servire la Patria, di servirla bene la nostra Italia, di offrire tutto ad Essa, di darle tutto per la sua Gloria nel Mondo.
Qualunque sia il compito loro assegnato, i figli della Balzana scriveranno nella terra imperiale pagine di fede e disciplina e, se necessario, di eroismo e sacrificio.
Ultimi giorni di mare
Oltrepassato lo stretto di Suez, il Mar Rosso accoglie il piroscafo nelle sue acque insolitamente calme. La navigazione procede tranquilla sempre contrassegnata dall'allegria delle camicie nere che nulla tralasciano pur di rendere interessanti le ultime giornate di navigazione. A bordo, in tutti, e' un fervore di iniziative tendenti a rallegrare e divertire i naviganti.
Sempre primi, i legionari della "Valanga" danno seralmente spettacoli di arte varia sul ponte di poppa. I filodrammatici della "Valdelsana" si esibiscono in bozzetti, commedie e monologhi; i coristi della "Polifonica Senese" innalzano alle stelle canti su canti; ed alcuni virtuosi del violino e della chitarra deliziano l'uditorio con "a soli" e concertini.
Di sera in sera si rinnova il successo della improvvisata formazione artistica. E di sera in sera i senesi vedono aumentare a dismisura la folla degli spettatori, che non lesinano gli applausi ai bravi e volnterosi dilettanti artistici.
L'attivita' dei legionari nostri non viene esplicata soltanto sull'improvvisato palcoscenico ma si estende - usiamo un termine sportivo - in profondita' in ogni campo.
Ad iniziativa di un gruppo di volenterosi e' uscito a bordo (due giorni prima dello sbarco) un numero unico del 97^ battaglione. Il giornaletto, dal titolo "La valanga", tirato in poche copie data la poca disponibilita' di carta, e' andato letteralmente a ruba. Le quattro paginette sature di sano umorismo sono state divorate dai militi, che hanno accolto con entusiasmo la nascita del foglietto. Ed il premio piu' bello per i redattori e' stato l'augurio di tutti che "La valanga" non rimanga un numero unico, ma divenga un periodico.
I redattori hanno promesso e gia' lavorano alla compilazione del Numero Unico che tra breve andra' in ciclostile. E promettono i redattori di inviare a Siena alcune copie del loro giornale affinche' tutti i senesi possano rendersi conto di quale e' lo spirito che anima le camicie nere senesi.
Altra bella novita' a bordo e' il continuo risuonare delle prime note della "Marcia del Palio". Il "pappa-pa-pa" e' divenuto il segnale ufficiale del Battaglione. E cosi' per le adunate e per le chiamate dei servizi, prima del rituale segnale militare, la cornetta squilla in quella musica che ha la potenza di far fremere e commuovere.
E sembra che l'anima di Siena aleggi sui ponti e sulle corsie, sui casseri e nelle cabine, fin giu' nelle stive, ove la truppa e' raggiunta e scossa dalle note della marcia piu' bella.
Ed e' realmente l'anima grande e generosa della Citta' nostra che vibra nell'animo dei legionari naviganti verso le Terre Imperiali. Ognuno ha nel cuore un nome, un ricordo, un affetto; e questi nomi, questi ricordi, questi affetti, sono scritti sui caschi coloniali e sulle "bustine", nomi di donne e bambini, stemmi di contrada, Torre de Mangia, panorami della Citta' della Vergine e ogni quant'altro e' caro a noi, sono scritti e disegnati sui copricapi.
E' una gara alla frase piu' bella, al motto piu' significativo, al disegno meglio riuscito. E tutti sono bravi, tutti primeggiano. Tutti. Anche quelli che sul casco hanno scritto "volio vincere". Perche' in quella "g" mancante e' tutta la spontaneita' e la sincerita' di un entusiasmo e di una volonta' che nobilitano la creatura piu' umile.
La navigazione volge al termine. Nella notte, Massaua ci e' davanti con tutti i suoi lumi. Entriamo in porto. Ormeggiamo. Sotto di noi il "porto imperiale" pulsa di una intensa attivita'. Ed a bordo parimenti si lavora per l'imminente sbarco. Ordinatamente, i Reparti si adunano ai posti di riunione. Gli uomini - carichi del loro fardello - volgono ancora una volta gli sguardi verso il mare. Guardano lontano, fissano un punto immaginario...sognano forse. Uno squilo di tromba, un ordine secco, ed eccoci gli uomini ritornano soldati. Si sbarca.
Pochi passi traballanti sul pontile, ed eccoci in terra d'Africa. Eccoci sulla banchina del porto d'arrivo che e' per noi anche il punto di partenza e trampolino di lancio verso terre lontane, verso il dovere e verso il piu' bello dei servizi: quello che in armi, si eplica a pro della Patria.
Attendendo gli eventi
La colonna autocarrata ci ha trasportati nei pressi di Asmara. Due giorni di sosta poco lungi dal capoluogo eritreo e nuova partenza. Cinquanta autocarri trasportano il Battaglione. Velocemente le macchine procedono per le strade della rinata Etiopia. Brevi soste notturne, riposo all'addiaccio e sempre avanti per le vie tracciate con le armi e col sangue delle legioni dei conquistatori dell'Impero.
Adi Ugri, Adi Quala, Adua, Axum e giu' giu' verso la valle del Tacazze'. Il fiume, tanto conteso due anni fa ed italianissimo oggi, e' passato di su il bel ponte costruito dal Genio: si risalgono le pendici montuose dei primi colli in terra amharica. Lontano il massiccio del Semien ci e' davanti. Lo raggiungeremo, il massiccio dominato dal Ras Basciau: lo raggiungeremo e lo supereremo.
Le macchine vanno avanti rapide. Nessun incidente, ne' agli uomini ne' ai motori viene a turbare la regolarita' della marcia. I chilometri sono divorati uno dietro l'altro. Si superano monti, si guadano torrenti, si attraversano valli: si giunge a Gondar.
S.E. il Generale Pirzio Biroli porta alla camicie nere senesi il suo saluto di governatore della Regione e di vecchio soldato. Esprime il suo elogio al Comandante nostro, si dichiara contento del modo in cui il Battaglione ha saputo prender contatto con l'Africa e dice tutta la sua fiducia nei legionari senesi. Rivela la sua certezza che l'unita' senese sapra' dimostrarsi degna dell'onore di servire nell'Impero il Duce ed invita tutti a ben sperare in attesa degli eventi.
Ed i legionari della "Valanga", orgogliosi di tanta stima, gridano ancora una volta la loro promessa: "Per il Duce e col Duce, ovunque. Col moschetto e col pugnale. Col badile e col piccone per la grandezza dell'Impero Fascista".
Dino Corsi
Il Telegrafo del 3 dicembre 1937
L'inaugurazione del fortino dedicato alla memoria di Vittorio Leoncini
Gondar, novembreL'operosa e pacifica attività dei Legionari senesi in Africa Orientale non ha tregua. Le formazioni della "Valanga" chiamate ad assolvere un compito di presidio, lavorano e si prodigano per rendersi degne dell'onore concesso di servire validamente la causa dell'Impero Fascista.
Nulla, in questo primo periodo di vita africana, è venuto a turbare la pace che regna nei nostri campi ed in tutta la zona ove il battaglione presidia ed opera.
Le voci corse - non sappiamo come - a Siena riguardo a scontri e combattimenti più o meno sanguinosi, sono false; come false sono le notizie concernenti moniri o maggiori perdite subite dall'unità senese.
Il battaglione - con vivo disappunto della grande massa delle Camicie nere - non è ancora stato chiamato alla prova del fuoco. Ciò non vuol dire, se domani la sicurezza dell'Impero lo richiedesse, che la "Valanga" non sia preparata a tuttti gli eventi ed anelante l'onore del combattimento.
Pertanto i militi assolvono con cosciente volontà il compito loro affidato. Compito di pace armata e di fecondo lavoro.
E trovano modo, le Camicie nere senesi, di rivelare ancora una volta la gentilezza del loro animo e la bontà del loro cuore rivolgendo il pensiero alla memoria di chi, precedendole sulla via del dovere, insegnò loro il cammino da percorrere per rendersi degni della nuova grandezza imperiale di Roma.
Nel nome di Vittorio Leoncini - nel nome caro del camerata amato, nel nome del fiero squadrista, nel nome di chi versò il suo sangue per la causa della Rivoluzione, nel nome dell'intrepido Legionario d'Africa che giovinezza e vita donò alla Patria - i militi senesi hanno inteso ricordare, simboleggiare ed onorare tutti i Caduti senesi di tutte le epoche squadriste e guerriere.
La commovente cerimonia
Il fortino "Vittorio Leoncini" eretto dagli uomini del primo plotone della seconda compagnia sulla cima di un colle che, ad ovest di Gondar, domina e protegge la grande arteria conducente al lago Tana, è una di quelle caratteristiche costruzioni che in Africa Orientale, rivelano comunque la innata capacità edilizia della gente nostra e lo spirito di adattamento a tutte le esigenze e la grande volontà, che supplisce alla mancanza di materiali ed attrezzi adatti, del laborioso popolo italiano.
Facente parte di tutta una linea di fortificazioni erette dal "novantasettesimo", il fortino in questione emerge e primeggia sugli altri per la cura amorosa con la quale è stato costruito.
Per settimane intere le Camicie nere hanno lavorato con passione all'erezione delle mura, delle strutture dei reticolati ed alla costruzione delle postazioni per mitragliatrici.
In tutti, dall'ufficiale comandante il plotone al più oscuro dei gregari, è stato vivo nell'animo il desiderio di ben operare per maggiormente onorare Colui al quale l'opera doveva dedicarsi.
E dopo un mese di lavoro ininterrotto, ultimata la potente costruzione difensiva, si è giunti all'inaugurazione.
Cerimonia semplice e nel contempo solenne. Semplice come lo sono e lo devono essere tutte le cerimonie improntate dallo stile inconfondibile del soldato fascista; solenne come lo sono tutti i sacri riti tendenti a ricordare e degnamente onorare chi, dal Cielo degli Eroi, vigila sulle fortune della Patria, dopo aver tanto contribuito al raggiungimento delle fortune stesse.
In armi, il plotone si è schierato sul piazzale esterno, che delimitato dal muro merlato e dalle fila di reticolati, serve da luogo di adunata della truppa.
Un "A noi!" potente, un rapido bslenare di lame d'acciaio e, fermi sul "presentat'arm", i militi hanno salutato lo scoprimento della lapide - romanamente scolpita - sulla quale, unitamente ai dati riferentesi al reparto costruttore, spicca il nome indimenticabile del camerata scomparso.
Il centurione comandante la compagnia, con voce rotta dalla commozione e con sentimento paterno, ha tratteggiata in poche significative parole la figura di Vittorio Leoncini. Ha detto delle virtù ideali e patriottiche del Caduto ed ha accennato alle glorie future, presenti e passate della causa fascista, che sotto il segno della guida del Duce, marcia sicuramente verso i più alti destini.
Ha quindi proceduto all'appello fascista; un "Presente!" unanime ha risposto all'evocazione del nome di Vittorio Leoncini, con il "saluto al Duce" si è conclusa la semplice cerimonia, che ha lasciata nei cuori dei tutti i presenti una viva traccia di commozione.
E' quasi notte quando, ancor sotto l'impressione lasciata nel nostro animo dal rito compiutosi nel pomeriggio, entriamo nella tenda dell'ufficiale comandante il plotone e il fortino, che fu, come noi, compagno d'armi ed amico dello Scomparso.
CI guardiamo negli occhi, in silenzio. Guardiamo, sempre senza parlare, una piccola fotografia di lui, che ha in tenda il posto d'onore. Ci stringiamo una mano: fortemente, da uomini, come a dirci tutto ciò che passa nelle nostre menti e fa pulsare forte i nostri cuori, e poi il tenente, quasi sottovoce, mi dice: "Pensa Corsi, se fosse qui Vittorio, se potesse vedere..."
E per un attimo abbiamo la sensazione della sua presenza; per un istante solo vediamo il caro camerata a noi davanti. Lo vediamo come lo vedemmo un giorno nella infuocata pianura di Gheraltà: curvo sotto il peso dello zaino, con gli occhi luccicanti dalla febbre ed il volto contratto dal dolore. Ma sorridente del suo sorriso d'asceta e di martire; di quel sorriso che ce lo rendeva caro ed amico.
E ci sembra che Vittorio mormori ancora: "No ragazzi, lo zaino lo porto da me: non lo lascio. Sto bene, benone...e, infine, anche se soffro, è bello soffrire così per l'Italia".
Dino Corsi