lunedì 18 luglio 2016

Le corrispondenze di Dino Corsi

Campo di addestramento "M" 1941/1942

Il Telegrafo del 2 novembre 1941
Vigilia di ardimenti

Da un campo "M", ottobre
Al Centro Controllo, ove ci presentammo giorni or sono per l'esame psico-morale, avemmo la prima impressione di essere dei privilegiati, dei favoriti dalla sorte e pensammo, in piena sincerità, che talvolta la più umile offerta riceve la più grande degnazione.
Al Centro Controllo, punto di partenza di ogni legionaria volontaristica aspirazione, i corpi e gli spiriti, sottoposti a scrupoloso esame, ricevono conferma della loro capacità a servire la Patria in armi nei ranghi di quella perfetta unità guerriera che sono i battaglioni "M", i reparti del Duce. Ed il superare il severo e scrupoloso controllo, l'aver conferma delle qualità che ognuno accesamente anelava, in sè, è cosa che procura gioia immensa e causa di legittimo orgoglio.
Studenti davanti agli esaminatori, non tremavamo come tremammo ieri nel comparire di fronte al Centurione medico che sottopose, più del nostro corpo, il nostro morale ad un esame scruploso e severo.
Dopo la visita medica, quando già il grigio-verde fresco, fresco di magazzino, era tornato a coprire le nostre membra rivelatesi ancora perfette, il medico, vecchio legionario dal petto azzurrato dai segni del valore e portante sulla divisa militare il vermiglio della volontà squadrista, rivolse ai neofiti quelle domande che costituiscono il più sicuro banco di prova per ogni uomo, degno di essere e di sentirsi tale nell'attuale clima guerriero.
- Pronto a tutto?
- Proprio a tutto?
- Sempre?
- Anche a rischio della vita?
- In Patria, lontanto, oggi, domani?
Una sola risposta: Signorsì!
Poche righe, velocemente tracciate da mano decisa sulla cartella personale dell'esaminando, poi, come un premio, come una promessa di ogni personale soddisfazione, la frase tanto attesa: "assegnato ai battaglioni M"
Battaglioni "M"! Camicie e fiamme nere della nostra passione rivoluzionaria guerriera! Milizia audace di tutte le guerre della Patria rinnovellata!...Ma in più, l'inenarrabile orgoglio, l'emme mussoliana sulle mostrine: quella sigla del color di sangue che, vicina, vicinissima, ai nostri colli, è come l'abbraccio del Capo che ci stringe in un paterno amplesso per dirci il Suo amore, la Sua fiducia in noi, la Sua certezza nella vittoria.
Ed i legionari del Duce, gli arditi dalla "M" sanguigna degni dell'amore del Condottiero e della sua fiducia: e per lui e con lui faremo della Vittoria certezza.

.......


Al campo legionario la vita è fervida. Immenso paese di tende mimetizzate sorgente nei pressi di una lussureggiante pineta che si estende, lungo la costa del Tirreno, l'accampamento del battaglione "M" è una fucina di operosa attività ed una scuola di fede fascista e guerriera.
Trentini, triestini, abruzzesi, umbri e toscani, in un gara di entusiasmo, si prodigano incessantemente a superarsi per sempre più e sempre meglio renersi degni della fiducia in loro riposta, per giustamente potersi fregiare del distintivo di onore mussoliano.
Noi, giunti da poco sul campo, novizi in questa scuola di lavoro e di ardimento, beviamo la linfa della bellezza italica che da ovunque straripa, respiriamo a pieni polmoni l'ossigeno che è fede emanante da ogni tenda e ci sentiamo pervasi da una gioia tanto grande, da un senso di intima soddisfazione e da riconoscenza profonda cerso il Capo che la penna non può dire.
Come sempre, come in tutte le nostre giornate di vita militare e guerriera, in questo campo che è l'espressione più vivida dello spirito legionario, abbiamo, in seno alla grande, simboleggiata dal battaglione, una piccola famiglia: la tenda. E questo piccolo nostro agglomerato familiare di cuori e di spiriti è quanto di meglio potessimo desiderare: tre triestini; una triade di figli della città che soffuse di grandezza eroica i sogni della nostra infanzia, che fece palpitare di amor patrio i nostri cuori infantili, che, bambini, ci fece comprendere la bellezza del sacrificio a pro di ogni idea che avesse per base la libertà e la giustizia.
Tre "matt", questi triestini, che fanno pensare a quanto e come la italianissima città sia sempre stata unita alla Patria; tre ragazzi che incantano con la loro suggestiva pronunzia gli ascoltatori; che si fanno amare e stimare attraverso la serietà dell'attuale comportamento e la fede, permeata da disciplina, che traspare da ogni loro atto; tre legionari che, nella loro Trieste, onorano l'Italia tutta.
Gli altri della famigliola, oltre a chi scrive, sono toscani. Un pistoiese di Monsummano ed un senese di Castelnuovo. vecchi legionari, camicie nere pronto a tutto dare. Questa è la nostra tenda.
Ma al di là vi è il campo. Quel campo circoscritto da un limite metrico, ma senza limiti ideali, giacchè la volontà che crea l'atmosfera dell'accampamento supera ogni materiale barriera per dilagare lontano e raggiungere, sulle fronti di guerra, i camerati che lottano e muoiono, quei camerati che i legionari dei battaglioni "M" raggiungeranno domani sul campo del dovere e seguiranno nei cieli della gloria eterna.
Oggi - 28 ottobre - il Comandante del Campo ha parlato ai legionari. Poche parole, sintesi perfetta del travaglio rivoluzionario che, sorto dall'analito irredentista, si afferma oggi attraverso l'ampio respiro guerriero.
Di fronte al Comandante - squadrista e combattente - i militi hanno gridato la loro fede e ripetuta, con le note della canzone della giovinezza eterna, la promessa di tutto osare, dopo aver tutto offerto, per la vittoria immancabile.
Gli arditi del battaglione mussoliniano, l'avanguardia acclarata della Rivoluzione, attendono con ansia il giorno in cui il Duce consegnerà loro la fiamma nera di combattimento: viatico per la battaglia e per la vittoria.

Dino Corsi

Il Telegrafo del 21 giugno 1942
"Noi la morte l'abbiam vista con due bombe e in bocca un fior"

Il verso dell'inno guerriero, che abbiam posto a cappello di questo nostro pezzo, è un pò la vivida espressione dell'animo dei legionari che formano la sceltissima - nel campo dell'addestramento e della volontà combattiva - unità d'assalto fregiata dal segno onorifico della "M" mussoliniana.
La morte, intesa e compresa nel senso dell'offerta più sublime alla Patria, è stata vista da tutti gli arditi che oggi, volontariamente, son pronti a prestar fede alla parola data, dimostrando che non retorica, ma consapevolezza della singola forza, sia materiale che spirituale, anima la loro volontà e fa di essi i privilegiati della sorte.
Tutti, nei battaglioni "M", han vista la morte. C'è, tra noi, chi la conobbe in lontanissimi, quanto simbolicamente vicini, giorni nelle doline del Carso e nelle sponde del Piave, altri - la maggioranza - ebbero di essa morte la visione sulle ambe africane e lungo le carrettere in terra spagnola; i privilegiati, già reduci di una, due o più guerre, possono narrare dei loro appuntamenti colla scheletrica sorella sulle sabbie marmariche, tra le nevi dell'inverno greco, sulle alpi del fronte occidentale o quelle del fronte Giulio.
Tutti, i legionari "M", han vista la morte. E l'han vista danzare colle due bombe strette nei pugni - espressione di forza - e coi denti serrati sullo stelo di un fiore, simboleggiante, colla vitalità di nostra terra, l'eterna Primavera della giovinezza italica.
Abbiam parlato di morte, ma giova dire che l'inno legionario comporta, tra gli altri, un verso, questo: "Battaglioni della vita..." E sono, e saranno, i battaglioni "M", un inno alla vita; alla vita che può trovare il suo compendio nella morte gloriosa, ma che sempre saprà dire coi fatti cosa possa la fede unita all'ardimento. E sulla morte trionferà la vita: quella eterna dello spirito eroico.
......


Otto mesi, otto lunghissimi mesi, sono trascorsi da quando, reduci dal fronte balcanico, avemmo la lieta ventura e la grande fortuna di essere incorporati in uno di questi Battaglioni destinati a dimostrare al Mondo tutta la tempra di quella Milizia eroica che è guardia e vessillifera della rivoluzione dei giusti, dei forti e dei buoni.
Per otto mesi, quasi ogni giorno, i battaglioni han mosro il freno. Gente nata e tagliata per la guerra, uomini di ogni età e posizione sociale protesasi nell'offerta di loro stessi alla Causa santa, hanno dovuto subire - diciamo subire - il martirio dell'attesa. Duecentoquaranta giorni di istruzioni, esercitazioni, tattiche, manovre...tanti e tanti mesi di dura attesa, alleviati soltanto dalla permanenza romana, ove la quasi continua visione del Duce premiò l'attesa e l'ansia di azione.
Dopo otto mesi è scoccata l'ora da tutti attesa, quella della partenza per il fronte di combattimento. QUal'è il fronte? Indovinatelo, lettori. Il più bello, il più duro, il più lontano, quello dove il Fascismo lotta e vincerà contro il nemico originario.
Chi scrive - ed i lettori ben lo conoscono - frena il suo entusiasmo. Ed infatti, come si potrebbe dire la gioia che in questi giorni pervade il cuore? Come dimostrare, soltanto a parole, l'esultanza dell'animo che vede avvicinarsi il momento tanto desiato della lotta?
Domani partiamo. Un treno lungo, un viaggio più lungo ancora ci attendono. Ma cosa ci attende, oltre questo viaggio? Cosa ci riserva la sorte? Tutto! Tutto ciò che di più bello la vita può donare ad un uomo: l'azione, il combattimento, la gioia di prodigarsi per la Patria, l'orgoglio di dare tutto alla vittoria. Così partiamo, così partono i legionari della "emme rossa e fiocco nero alla squadrista", così collo spirito della Rivoluzione, i Battaglioni del Duce vanno sulle vie del mondo per raggiungere e scavalcare l'ultima trincea avversaria.
.......


Ma cosa sono questi battaglioni? Cosa hanno di straordinario? - domanderà il lettore. Giusta la domanda e doverosa la risposta. Risposta che per prima vuol riferirsi alla seconda domanda - Non hanno nulla di straordinario questi battaglioni "M"; hanno soltanto l'ordinarietà di tutti coloro che son degni di chiamarsi italiani. Ed hanno cioè la dedizione alla Patria delle nostre donne e dei nostri fanciulli, hanno l'ardimento degli alpini della "Julia", lo spirito di sacrificio dei carabinieri di Cuolcaberi, l'irruenza dei motorizzati dell' "Ariete", il ferreo coraggio delle Camicie nere della "Tagliamento", l'ardimento imparagonabile degli aviatori e dei marinai d'Italia. Questo hanno di straordinario i battaglioni "M". Cioè nulla, se si considera la grandezza guerriera del nostro popolo.
E cosa sono? Cosa sono? Sono un amalgama perfetto di uomini, di corpi, di menti e di volontà che si accingono a combattere, forse a morire, ma comunque a vincere.
Nel nome del loro raggruppamento, nome che simboleggia una data sacra alla storia d'Italia: "23 Marzo", i legionari "M" che oggi si accingono a marciare verso il nemico peggiore, hanno l'incentivo a combattere e a vincere.Le fiamme che arsero dai cuori ribelli e santi dei sansepolcristi sono le stesse che oggi, nobiilitate dalla sigla del Condottiero, rosseggiano sulle schiere legionarie e divamperanno domani laddove li attende da Roma il verbo del bene e della civiltà.
Questi battaglioni, gli "M", "dalla morte creati per la vita", vivranno oltre la morte per vincere e redimere.
Nessun premio aspettano i legionari. Nessuno. Perchè il più bello, il più ambito, il più desiato è già stato consegnato. Si parte per il fronte. E per chi, durante otto lunghissimi mesi di dura preparazione, ha subito ed apprezzato il peso dell'attesa, non c'è premio migliore della Guerra, la vera Guerra, la bella Guerra, che da gioia con i suoi sacrifici ed entusiasmo coi suoi pericoli.
Partiamo. E partendo non possiamo dimenticare chi lontano ci pensa, e forse, ci piange. A tutti - e son molti quei che leggeranno ad avere congiunti nelle belle schiere della "23 Marzo" - ricordiamo una cosa, una cosa in se grande, infinita: "Quando alla Patria si è dato tutto, non si è dato abbastanza". Noi diamo le nostre forze; voi madri, spose e figli che attendete, date la speranza, date la fede, date la certezza della vittoria.
Nessun pianto accompagni la nostra partenza. Si piange chi soffre. Ed il legionari "M" non soffriranno mai, perchè, anche nell'istante supremo, avranno sulle labbra il sorriso dei forti, quel sorriso che sarà il fiore più bello che mai bocca abbia stretto.

Dino Corsi

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