lunedì 18 luglio 2016


Il Telegrafo del 11 settembre 1942
Quando il buondì si vede dal mattino (II parte)

Ecco la seconda parte dell corrispondenza:

Torniamo al campo improvvisato nei pressi del pagliaio. Appena un'ora di sonno e le prime luci dell'alba, in funzione di trombettiere di servizio, ci fanno la sveglia. Lo "stàrasta" ci ha mandato la colazione: latte fresco. Sorbendo il gradito liquido pensiamo in cuor nostro di aver mal giudicato l'ometto e ci diciamo a mo' di scusa: "forse l'oscurità ci ha ingannati. Il bagliore degli occhietti era "segno" di bontà". Tanto può una tazza di latte, sorbita alle tre del mattino, sulle opinioni di un uomo.
I plotoni già inquadrati, gli uomini canticchiano in sordina, la marcia riprende. Più che camminare, si corre. E' necessario far presto, ridurre a tre le cinque ore di marcia che ci separano da B...Perciò siamo partiti al galoppo.
In novanta minuti si sono coperti dieci chilometri. Il comandante ordina l'alt...orario. Ma non proseguiamo. Siamo appena fermi che un lontano batter di motore colpisce le nostre orecchie. Poi una sottile nuvola di polvere si alza all'orizzonte sulla pista. Giunge una moto. Il portaordini.
"Rientrare subito alla base. Urge presenza del Battaglione in linea". Così dice l'ordine. Niente di più, niente di meno. Ma questo è già sufficiente per comprendere che qualcosa va maturando, "qualcosa di buono", assai di meglio di pochi partigiani, i quali, prima o poi, cadranno immancabilmente sotto il piombo delle armi italiane.
I trenta chilometri di ieri sera più i dieci di stamani fanno quaranta. Ma cosa sono quaranta, o meglio ottanta, meschinissimi chilometri quando l'ordine dice che in linea urge la presenza del battaglione? Fatta a ritroso la via sembra più breve. Nessuno lamenta stanchezza, anche se tutti grondano di sudore e molti vacillano sulle gambe malferme. Via via, chilometro dietro chilometro, passo dopo passo. Non si canta, perchè, in verità, i nostri polmoni non possono più concedersi questo lusso. Ma si cammina, si vola.
Nel tardo pomeriggio giungiamo alle nostre postazioni. Ci attendono i camerati, il rancio caldo e le macchiìne già pronte a partire. Apprendiamo che il nemico ha sferrato un furioso attacco, veniamo a conoscere che il nostro battaglione lascerà subito la tranquilla posizione per spostarsi sulla linea di fuoco in appoggio ad una divisione di fanteria già in combattimento, beviamo la pastasciutta, saltiamo suglio autocarri, accarezzaimo le nostre armi e partiamo cantando. E' tornata la voce a farci gridare la gioia per l'azione imminente!
E via, via ancora. Ancora nella notte, ma verso la luce della battaglia. Gli autocarri vanno lentamente a fari spenti, nelle cabine e sui cassoni si sonnecchia e si sogna. Lontano romba il cannone. E' una voce che chiama con maniera alla quale non si può resistere.
Viaggiamo per alcune ore sonnecchiando. E' la voce dell'autiere che ci desta "Siamo arrivati".
"Dove?" domandiamo. E non abbiamo bisogno di risposta. Ce la danno, la risposta, quei fanti affossati nelle trincee, le batterie che, alle nostre spalle, vomitano acciaio, il caratteristico ed inconfondibile andirivieni di automezzi e carriaggi.
Siamo giunti alla linea di resistenza, allo schieramento difensivo, cioè, che si stende in profondità a poche centinaia di metri o a pochi chilometri dalla zona di combattimento.
Pernottiamo sulle macchine in attesa dell'ordine di andare avanti. L'alba ci trova ancora stretti negli interni degli autocarri. Nessuno pensa a riposare, nessuno ha bisogno di riposo. Ma tutti sentiamo il bisogno di rompere l'immobilità e correre a rispondere all'invito suggestivo della mitraglia che canta e chiama.
Come, da dove, in virtù di quale miracolo non sappiamo, giunge il caffè caldo. E giunge anche, assai più gradito del caffè, l'ordine di andare in linea.
Le macchine si muovono. I motori ed i legionari fanno ora eco al canto della mitraglia. Il sole illumina la pianura, ed i girasoli in fiore sembrano sorriderci dall'alto dei loro steli. I fiori gialli attraverso i quali passa la colonna si piegano in una gentile riverenza e par vogliano indicarci un cammino.
Sostiamo. La strada è battuta dal tiro dei cannoni avversari. Qualche granata giunge a darci il suo sanguinoso saluto. Il sangue bagna la terra, ma non si perde. Alimenta le forze e gli entusiasmi. Nessuno muore perchè anche i Caduti rimangono inquadrati nei reparti. Piùche vivi, sempre presenti all'avaguardia delle nostre schiere, i colpiti restano ad indicare il sentiero della vittoria.
Qui, mentre ancora l'artiglieria rossa batte la posizione, ci raggiunge il Luogotenente Generale comandante il Raggruppamento.
Il vecchio soldato, il combattente di tutte le guerre, l'eroico squadrista, il legionari dal petto tanto azzurro che par una bandiera del "Nicchio" chiama a sè gli "M" e, dall'alto di una macchina, parla loro in termini chiari, precisi, inconfondibili. Non li incita all'azione, chè sarebbe vano ogni incitamento, non li sprona all'eroismo, chè tutti son pronti a dare prova di valore, non si perde in raccomandazioni, giacchè sa di aver davanti a sè soldati provati a tutto; il Comandante ricorda invece ai legionari che la Patria guarda ad essi come al fiore della Stirpe, che il nemico li teme come il buon credente teme il diavolo e che Lui, il Generale, è sicuro dei suoi uomini ed orgoglioso di essi. E termina invitando le camicie nere a soffocare col loro canto guerriero il rabbioso tuonar del cannone.
Sibilano i proietti, le granate piovono dall'alto, ma v'è gente che se ne frega del bombardamento e, in attesa di far udire al nemico la voce delle proprie armi, lo sfida coprendo colla voce aperta in una canzone eroica il rombare delle sue artiglierie.
Mentre i nostri camerati cantano, mentre le granate sembrano divertirsi a scoppiar sempre più vicino, noi ci affrettiamo a completare queste sconclusionate impressioni sulle più recenti ore di vita al fronte e concludiamo col ripetere il vecchio adagio: "Il buon giorno si vede dal mattino".
Infatti il mattino delle radiose giornate che siamo chiamati a vivere fu proprio...la sera dell'altro ieri quando un porta-ordini giunse al campo recando sulla sua macchina un nucleo di partigiani, un ordine di partenza, ottanta e più chilometri di marcia, due notti insonni e tutto il resto.
Ma queste cose non contano. Quello che conta è il fatto che appena le nostre batterie, che sono già entrate in azione, avranno tacitato quelle avversarie, noi ci muoveremo da qui per portarci al di là di quella collinetta, ove il nostro giungere sarà per qualcuno assai sgradito.
E' cessato il canto dei nostri camerati. E' cessata pure la pioggia di granate. Si riparte! E questa è la volta buona!

Dino Corsi

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