venerdì 14 dicembre 2012

Il Telegrafo del 14 gennaio 1936
Il primo Natale di guerra dei legionari



Da oltre Macalle', notte di S.Silvestro


La giornata natalizia e' trascorsa. I legionari hanno vissuto il loro primo Natale di guerra in Africa; e la giornata di festa solennizzata a tante migliaia di chilometri dalla Patria rimarra' come ricordo indelebile nella memoria di chi, lungi dagli affetti e dalle persone amate, ha purtuttavia vissuto il piu' bel Natale della sua vita.
Da piu' giorni si respirava gia' un'atmosfera di festa, ed i continui arrivi di autocarri carichi di pacchi postali e di sacchi di corrispondenza, portavano negli accampamenti la nota gioiosa dei baci, dei saluti e dei regali delle famiglie e degli amici. Qua e la', durante la giornata della vigilia, le camicie nere si affaccendavano nei preparativi del pranzo natalizio.
Pllame, capretti, scatole di carne e tutto quanto era stato possibile racimolare nei mercati indigeni e ai depositi della Sussistenza, veniva trasformato in tanti bocconi appetitosi. Cuochi improvvisati, in faccende intorno ad altrettanti improvvisati fornelli, facevano sfoggio di un'innegabile abilita' culinaria e, seri come stessero compiendo una sacra missione, manipolavano le svariate pietanze, mentre intorno a loro i camerati, affollati nelle cucine all'aperto, osservavano con curiosita' infantile l'armeggio dei loro compagni.
Sembrava proprio di essere in una delle nostre cucine, in un giorno di festa; uno di quei giorni nei quali gli uomini, quando intorno ai fornelli e scoprendo di continuo marmitte e tegami, fanno inquietare le massaie, che brontolano e si innervosiscono. Tanto pareva di essere in famiglia, che nessuno si sarebbe meravigliato sentendo risuonare improvvisamente la voce della mamma, o della sposa, o della sorella, ripetente, sbruffando, le solite frasi d'occasione: via gli uomini dalla cucina; intorno ai fornelli ci sto da me!

La messa di mezzanotte
Alle undici di notte l'insolita adunata. Usciamo dalle tende dopo alcune ore trascorse in lieta attesa e rallegrati dai canti di tute le piu' belle canzoni d'occasione.
Fuori dalle tende, adunata all'ingresso del campo trincerato e via per la notte illume. I pochi chilometri che dividono l'accampamento dal luogo dove e' stato eretto l'altare da campo, furono percorsi dai reparti in breve tempo.
Nessuna marcia mi e' parsa cosi' suggestiva come quella di quella notte di Natale, attraverso i monti che cingono Macalle'. Il buio era rotto qua e la' da falo' accesi dai militi nei pressi dei capi e dei posti di vedetta; tanti punti luminosi che davano l'aria di festa al paesaggio di roccie, di fortificazioni e di attendamenti.
Avvolti nelle mantelline grigio-verde - che un'arietta pungente ci sferzava le carni, forse per essere intonata alla ricorrenza natalizia - procedevamo canticchiando allegramente verso un punto bianco, che risaltava nella notte nera.
La "tenda Roma" di un Comando, divenuta per l'occasione una piccola cappella, spiccava in lontanaza, illuminata di tanto in tanto dai raggi di un potente riflettore. I camerati della stazione foto-elettrica, dal loro posto di osservazione, ci indicavano la strada da percorrere. E la mobile luce del moderno congegno elettrico, ci faceva pensare ad un'altra luce che, quasi due millenni or sono, in una notte simile a questa indico' alle genti del deserto la via conduceva alla capanna del Divin Fanciullo di Betlemme.
E nella notte africana, sotto il cielo cosparso di stelle, quando una fila di cammelli, con i cammellieri avolti nei bianchi barracani, e' comparsa all'orizzonte, il pensiero del passato ha preso consistenza e tutti abbiamo avuta la sensazione di tornare indietro, tanto indietro con gli anni, e vivere le prime miracolose ore dell'era cristiana. Ed abbiamo atteso che le figure dei Re Magi si profilassero ai nostri sguardi stupiti ed ammirati.
Poi l'illusione e' scomparsa. E davanti al piccolo altare tutto ammantato di tricolore, la realta' del momento ha preso il sopravvento.
Inquadrati davanti alle tende, con al centro S.A.R. il Duca d'Aosta e S.E. il Generale Ettore Bastico, comandante il 3.o Corpo d'Armata nazionale, i militi hanno assistito al sacrificio della Santa Messa.
Mai il rito sacro della cristianita' mi e' sembrato tanto commovente e mai tanto suggestiva mi e' apparsa la cornice entro la quale si compie la funzione religiosa.
Mentre i battaglioni - migliaia di uomini forti ed audaci - erano genuflessi dinanzi all'altare, ho alzato la testa e mi sono guardato intorno, ho guardato i miei camerati, il cappellano che officiava e il cielo stellato che faceva da volta al primo grande tempio del cattolicesimo improvvisato del Tigrai dai figli di Roma. Per un istante il mio pensiero e' volato a Siena, alla sua magnifica cattedrale, al nostro impareggiabile Duomo, ed altre messe di Natale ascoltate tra le marmoree colonne del Duomo che forma l'orgoglio dei senesi ed ho tentato un confronto. Confronto che ha umiliato in me il senese, tanto era fantastico lo spettacolo che mi si parava davanti; fantastico, grande e immensamente bello questo sacro rito compiuto in una chiesa meravigliosa nella sua umilta', luminosa nella sua ombra e grande, grande, tanto grande...E il Duomo di Siena mi e' sembrato una chiesuola piccina piccina...

Oggi e' "ceppo"!
All'Elevazione, quando dopo lo squillo di tromba che ha irrigidita la truppa sull' "attenti", il sacerdote ha innalzato il calice al di sopra delle baionette del plotone d'onore immobile sul "presentat'arm", una intensa commozione e' scesa negli animi. Per un attimo il pensiero e' volato ai fratelli caduti, che di lassu', dal Cielo, avranno forse assistito anch'essi al Sacrificio della Messa che si sompiva all'ombra di quelle armi italiane, per le quali loro - i nostri Eroi - compirono ieri il sacrificio della vita.
Oggi e' "ceppo"!...Tanti auguri...Buona Natale!...Buone feste...le frasi d'augurio si intrecciano subito dopo la sveglia, appena cioe' i militi, messo il capo fuori dalle tende e stropicciatisi gli occhi ancora assonnati, si sono trovati a faccia a faccia con i camerati e con i superiori, in questo primo mattino di un Natale tanto insolito quanto bello.
Dopo il rituale scambio di auguri e di parole buone, tutti i liberi dals servizio, tutti quelli rimasti nell'interno dei campi si sono posti all'opera per ultimare i preparativi del pranz, ormai imminente.
Le ore sono volate e tra una faccenda e l'altra, tra la visita agli amici di altri reparti e l'incontro graditissimo con i senesi venuti anche da lontano a portarci i loro auguri, tra una sosta intorno ai fornelli e una cappatina ai depositi della sussistenza per tentare di strappare qualcosa di buono ai magazzinieri, in lotta continua con il rigido regolamento e con il loro spirito di cameratismo, tra una giuccata e l'altra insomma, come si dice a Siena, siamo giunti all'ora del rancio.
Rancio speciale. Pasta al sugo, carne, marmellata e vino. Razioni abbandanti e saporose, che integrate con quelle dei cuochi fuori ordinanzaavevano tirato fuori dai fornelli, dopo quasi due giorni di fatiche e di memorabili complicazioni, sono servite ad imbandire le mense e dar svolgimento ad uno dei piu' lauti pranzi, che mai si siano svolti in queste terre abitate da uomini tanto parchi, quanto selvaggi.
Allegria, spensieratezza e brio giovanile intorno ai deschi natalizi, sorti all'ombra delle piante tropicali, al riparo di qualche baracca ed anche tra le roccie di questa o di quell'amba.
Complici i nostri bravi ed instancabili camerati dell'auto reparto, damigianine, fiaschi, fiaschetti e bottiglie di quel buono erano giunte di contrabbando da Adigrat e da Macalle' fino sulle linee avanzate. E quando il vino abbonda, la vita e' sempre lieta...
Senza eccedere, ma anche senza eccessivi riguardi, i recipienti si sono vuotati lentamente...e completamente, riscaldando un po' la testa e dando la stura alla serie infinita dei canti. Quei canti tanto belli, tanto nostri, che hanno il magico potere di riavvicinarci alle cose care, agli affetti, ai ricordi lontani.
Poi, dopo il "caffeino" caldo caldo, sorbito subito dopo aver fatto la festa al panpepato, ai cavallucci e ai ricciarelli, si sono tolte le mense e, cosa prestabilita, i senesi, tutti i senesi della "23 Marzo" eccettuati quelli di vedetta e di guardia ai piccoli posti avanzati hanno raggiunto, con perfetto movimento di conversione al centro, la localita' poco lontana dai campi ove ha sede il Quartier Generale. Qui, ospiti dei camerati addetti al comando e dei cucinieri della mensa ufficiali, i volontari di Siena, insieme a numerosi soldati e avieri concittadini, convenuti al richiamo irresistibile della "Marcia del Palio", cantata a piena voce all'apertura del festino che si e' svolto all'ombra della tenda dei sottufficiali, hanno vissuto un paio d'ore in famiglia, in casa, a Siena senz'altro, si puo' dire.
Panforti bottiglie e fiaschi. E poi ancora panforti, ancora bottiglie, ancora fiaschi. E canti, canzoni di guerra, canzoni della Rivoluzione, canzonette moderne, romanze del passato e - dulcis in fundo - gli stornelli del Palio, inarrivabile inno a Siena nostra, conferma di amore alla citta' dei sogni. E sull'aria di "alla terza girata..." e' fiorita una serie di strofe antisanzioniste e menefreghiste.
Dopo essersi sfottuti a vicenda, dopo aver ripetuto per cento volte che "la Torre un vince piu' ", che "l'Oca e' l'infamona", che "il Nicchio e' il piu' bello", che "Pantera ultima non puo' mai essere", e chi piu' ne ha piu' ne metta, i senesi, dallo spirito sempre pronto, se la sono spassata alla barba degli...amici di un tempo cantando:

Vorrebbero affamarci
quei falsi della Lega
ma noi ci se ne frega
ma noi ci se ne frega
e vendetta si fara'.


E ancora:

Loro con le sanzioni
noialtri col cannone
vedremo chi ha ragione
vedremo chi ha ragione
e vendetta si fara'.


E la notte scesa improvvisa come sempre, ha trovato la schiera dei senesi, dimentichi una volta tant delle preoccupazioni della guerra, stretti in cerchio intorno ad una fiamma bianco-nera e ripetenti per l'ultima volta l'inno a Siena, alla sua gloria, al suo passato eroico, e al non meno eroico presente:

Squilli la fe',
si armi e vinca l'onore
in te dolce fiore, Siena gentil...


Lentamente, siamo tornati agli accampamenti. Le tende si sono riaperte per ospitare i nostri corpi, stanchi di una fatica insolita.
Ma prima del riposo, per la terza volta nella giornata, e' giunta la posta. Tutti hanno avuto qualcosa e tutti si sono raccolti nella lettura dell'augurio formulato da una mamma, da una sposa, da un bambino...
La sera di Natale i canti non hanno rallegrato gli accampamenti. Dopo tante ore di gioconda spensieratezza, la posta e' venuta a commuovere gli animi.
In tenda, mentre leggo un un modesto foglio pieno di tante parole care, colmo di baci e saturo del ricordo della mamma, mi avvedo che un mio compagno, che come me legge, ha gli occhi lucidi di pianto e il volto trasparente di commozione.
- Perche' piangi? - gli chiedo.
- Per niente...Un po' per sfogo. Lo so che non si deve piangere e te lo sai se sono il tipo io...Ma oggi, stasera dopo la baldoria, a leggere queste parole mi viene il nodo alla gola. Piango, non so nemmeno io perche'...Forse perche' le voglio tanto bene...
- A chi? Chi ti scrive?
- La mamma, la mi' mamma. E come si fa a non piangere pensando che oggi e' Ceppo e che lei e' sola, sola...E a te chi ti scrive?
- La mamma anche a me.
Mi accorgo di avere anch'io gli occhi lacrimanti e, per darmi un contegno, aggiungo, sforzandomi di sorridere: "Dici bene, io non ci pensavo piu': oggi e' Ceppo!".

Dino Corsi

http://www.97legione.siena.it/

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