Il Telegrafo del 14 novembre 1942
Colloqui con Siena (Se Silvio Gigli permette... )
Fronte, novembreIl "Telegrafo" ci ha portata la notizia che Silvio Gigli è militare. Ed allora ci siamo sentiti forti, erculei, titanici e ci siamo detti: Ecco il momento!
Da tempo avevamo il desiderio di parlare con te, Siena nostra; il nostro animo conteneva a stento tante domande e bramava risposte; ma eravamo chiusi nella ferrea botte del formalismo giornalistico e non potevamo, Siena, interloquire in tua compagnia, perchè un colega dalla "grande firma" ci aveva preceduti e quindi preclusi alla tua confidenza. Ma oggi le cose sono cambiate.
Silvio Gigli è soldato. Anche lui, come cento, mille, milioni di italiani ha, e siamo convinti che meriti, la soddisfazione grande di indossare il grigio-verde e servire coi fatti la Patria adorata. Essendo quindi dei nostri, noi lo vediamo non più sotto l'aspetto dell'autorevole concittadino che ha fatto strada, ma semplicemente nel sembiante del "soldataccio" imbacuccato nell'uniforme, alle prese con un qualsiasi caporale che sa far scattare i suoi uomini, intento a nettare la gavetta, dopo aver consumato il nostro minestrone, e tutto preso da quelli che sono gli inevitabili inconvenienti che la vita militare sa riservare ai novizi. E, vedendolo così come lo vediamo, dimentichiamo il "cav.", il "regista della radio" e la "grande firma", e lo trattiamo com'è uso trattarsi da soldati: senza eccessivi riguardi; e, vecchi ormai di "naia", diamo alla recluta una bella fregatura. Interloquiamo con Siena anche noi. E perchè noi no? Perchè non potremmo far noi ciò che fa o faceva, non Silvio Gigli, ma il compagno d'armi Gigli?
Iniziamo i nostri colloqui, che non avranno la regolarità e l'interesse degli "asterischi della domenica", ma che ci permetteranno comunque di rivolgerci di tanto in tanto a te, Siena di tutti i senesi, e domandarti e chiederti le risposte, che tu ci darai, sempre, in un modo o nell'altro - magari in sogno -, giacchè la tua gentilezza è per noi sicurtà di non interloquire invano. E ti parleremo, città del nostro continuo pensiero, non per noi soltanto, ma anche, e principalmente, per tutti i tuoi figli, che su tutti i fronti di guerra onorano Te nell'Italia.
E' festa. Diciamo sia domenica. (Quassù è festa ogni qualvolta i rossi si fanno vivi, dandoci possibilità di menare le mani. Stamani, all'alba, son venuti. Li abbiamo accolti come meritavano, barcocchiati, che sarebbe un piacere a raccontarsi, e ricacciati al di là del Don. Poco fa una pattuglia è uscita a contare i morti nemici rimasti davanti alle nostre linee. E avrà un bel contare! Perciò oggi è festa. Capisci, vecchia Siena?). Dunque siamo d'accordo. E' festa. E diciamo sia domenica.
Noi siamo con te; o meglio: tu sei con noi. La tua anima è scesa dall'alto della Torre, ha abbandonato il bronzeo asilo del campanone e ci è compagna nel nostro fantasioso peregrinre in città, tra piazze e vicoli, nei giardini e all'ombra dei tuoi palazzi. Noi ti parliamo: tu ascolti e rispondi. Vero che ascolti? Vero che rispondi?
E' festa. Tra poco sarà mezzogiorno. Noi transitiamo per il Corso. Ammiriamo la grazia di Dio che passa. In Piazza Tolomei è un via vai di figliole che scendono verso Provenzano. Strano, però! Strano che vanno sole. A crocchi, è vero, cingettanti come nugoli di pispoli, radiose e belle, ma sole. Perchè? Perchè tanto sole le "citte" di Siena, le tue "citte"?
Tu rispondi. E sei maligna. Dici: vanno a Messa le ragazze, come ieri, come sempre. Sembrano sole, ma non lo sono. Sotto le già grevi vesti autunnali, sù in alto, i cuoricini hanno compagnia. Vanno a Messa le "citte", sembran sole ed invece hanno a fianco il ragazzo che già le accompagnò, in altre giornate di festa, giù per il vicolo del Moro e le ricondusse, poi, dalla luce suggestiva del Tempio a quella splendente della vita. Il ragazzo, magari, è lontano... Tra le sabbie del deserto africano, su pei monti in Balcania, con voi tra le prime nevi delle steppe, sù in alto nei cieli dominati dalle aquile azzurre, sopra a sotto tutti i mari dove l'audacia vince...Tu dici così, e non saresti maligna. Ma lo sei quando aggiungi: Però, qualcuna, troppe forse, non sanno resistere all'attesa, non sanno accontentarsi della compagnia ideale dei "citti" lontano e, soldati per soldati, ci sono tanti fanti, bersaglieri, carristi, avieri a Siena... Vedi che sei maligna? Perchè, non per noi che ormai siam vecchi, ma per mille ragazzi sognanti in trincea le bambine del cuore, vuoi dire la verità? Non lo sai che, in fatto di donne, e di donne giovani in special modo, è bene sempre chiudere gli occhi e far finta di niente? Eppure sei vecchia, Siena, e queste cose dovresti saperle!
Ci fermiamo alla Croce del Travaglio. Aspetteremo un pò e poi andremo dal "Galgani" a prendere l'aperitivo, la "bomba", come la sa fare Armando quando è in vena. Aspettando guarderemo chi passa e penseremo a chi non passa.
Sono uscite dalla Chiesa, la Messa è finita. Anzi, son terminate le Messe di mezzogiorno: a Provenzano, a San Martino, in Duomo. Dalle tre vie principali affluiscono al centro le ragazze. Vengono dai Quattro Cantoni, da Banchi di Sopra e da Banchi di Sotto. Portano un lieve profumo di incenso nei capelli, sono più belle del solito. Noi le guardiamo nel passare, le ascoltiamo nel sommesso cicalare; e, di tanto in tanto, tu, anima di Siena nostra guida, ce ne accenni una, che si estranea dalla folla e porta sul volto e sugli occhi un segno di dolore, e ci dici: Era fidanzata con Mario, o con Gino, o con Carlo... quello che cadde a Tobruk, o a Sinj, o a Marizai, o a Voroscilofgrad... Non sei più maligna, Siena, sei tanto buona ora!
E passano anche dei giovani. Qualcuno zoppica o porta un braccio al collo, altri nascondono dietro una benda nera la pupilla orbata di luce o hanno sul volto segni di non lontana sofferenza. Tu, allora, ti ingrandisci nell'orgoglio, Siena, e mormori: Questi sono i miei figli più cari. Dopo il fronte e l'ospedale son tornati a me ansiosi di lasciarmi ancora e tornare a soffrire per vincere.
Noi ci sentiamo piccini, tanto piccini, e vorremmo dare un pò del nostro sangue per divenire tuoi figli più cari. Pensiamo a ciò quando tu ci richiami alla realtà delle cose, domandandoci: Chi manca? Cosa manca?
Volgiamo gli sguardi intorno e sù e giù, verso la Costarella, il Chiasso Largo e Piazza Tolomei, e, da noi stessi torniamo a domandarci: Chi manca? Cosa manca?
Una donna giovane, in gramaglie, conducente per mano un sorriso di bambina, ci dà la risposta.
Vero, Siena, che manca Rodolfo? In questo meriggio festivo, qui alla Croce del Travaglio mancano i due metri di altezza di Rodolfo Nigi? Lui era sempre qui a quest'ora. Semplice, modesto, bravo; era qui a parlare d'Italia e di Fascismo, a sognare la gloria. Guarda Siena, guarda le gramaglie della vedova che passa!... Vedi come sono illuminate dall'azzurro segno del valore?... Cosa rispondi vecchia Siena?
E lei risponde. Questa volta trema, la voce della città dei santi e degli eroi. Trema d'orgoglio e commozione; dice: E non è azzurro il mio cielo? E non è fulgente la veste umile che ho indossata per esser degna degli umili grandi miei figli? Vedete, io ho riposti i mille colori delle seriche bandiere, ho fatto tacere i tamburi, la mia voce non è più quella di "Sunto" ma quella di una madre che trepida, soffre e gioisce... Rodolfo, il Nigi, è uno dei figli pei quali ho trepidato, sofferto e gioisco... E' forse il migliore di tutti. Ma tornate ancora, venite ancora a parlarmi, sarò contenta. Tante cose devo ancora mostrare a voi che oggi vivete lontano, tante cose devo dirvi nei nostri colloqui: cose belle e cose brutte. Tornate e parleremo ancora... Poi Siena è scomparsa; e siamo rimasti soli.
La Croce del Travaglio deserta, non un'anima per la strada. Abbiam chiusi e riaperti gli occhi: una buca nel terreno e un riparo di sacchetti di sabbia a terra. Era finito il primo colloquio con Siena, riprendeva quello con la trincea.
Dino Corsi
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