martedì 27 dicembre 2016


Il Telegrafo del 29 dicembre 1942
Colloqui con Siena

Anche se giunta in ritardo, questa corrispondenza di Dino Corsi, non perde della sua freschezza. La diamo, sicuri di far cosa gradita ai lettori:

Fronte russo, dicembre
Alcuni giorni ci separano ancora dalla sacra solennità, ma a noi piace immaginare d'esser già a Natale per trascorrere con te, Siena, un'ora di pace, per vivere in te, città nostra, per parlare con te, interlocutrice ideale.
E' Natale; siamo scesi di lassù, dalle lontane steppe russe diventate da settimane e mesi immenso oceano di niveo candore, ove la tormenta muove i pulviscolari flutti e solleva ondate e ondate di biancore simili a lenzuola di bucato stese nello spazio e mosse dal vento; il nostro spirito è tornato a te, mentre il corpo infagottato in un sacco di lana resta nella trincea scavata sulle sponde dell'insanguinato fiume, che più non scorre, ma si riposa del lungo andare estivo immobilizzandosi nel gelo.
Cosa avverrà lassù nella Santa mattinata della Natività? Sarà pace e raccoglimento per la vita nostra, oppure il rosso tenterà dall'altra sponda di frangersi ancora le ossa contro il muro dei petti italiani? Chissà. Noi non possiamo dirtelo, cara Siena, e potremmo anche non più potertelo dire, giacchè il Natale di guerra reca nel suo fardello i doni più impensati, non ultimo quello dell'Eterna Gloria.
Eccoci al tuo appuntamento, Siena. I nostri spiriti s'incontrano, sai dove? Vicino al celestiale asilo della tua anima nel Campo, proprio davanti a Fonte Gaia. Ci sediamo un pò sul muricciolo di pietra che conosce le soste dei sognatori e dei poeti, i notturni sussurri degli amanti, l'allegria delle pazze comitive di nottambuli, il quieto riposo dei vegliardi e il sommesso cicalare delle tue donne, qui spesso convenute a pascersi di sole, intessere la calza e parlare liberamente colla voce e col cuore a te di loro, a te delle loro speranze, a te delle loro certezze.
Ascoltiamo insieme il mormorare delle acque che vivificano i marmi di Iacopo, insieme suggiamo dall'aguzza bocca della bronzea lupa la stilla di freschezza che sa di bontà e di amore, di fede e di passione. Quanti dei tuoi figli, Siena, hanno attinta da Fonte Gaia la linfa preziosa che essa sola sa donare? Quanti nelle ore eroiche di ogni eroica vigilia ha qui succhiato colla freschezza delle acque l'ardore per la pugna e la volontà per l'azione? Quanti?... Non rispondi, Siena?... Perchè non rispondi?... Ah si, hai ragione: oggi è Natale e dobbiamo vivere questa nostra ora addentrandoci un pò nelle tue strade e non fermandoci qui, dove il fascino ci prenderebbe legandoci coi fili invisibili dell'incanto malioso e costringendoci al sogno più che al colloquio. *** ...nei secoli la mia anima ha vissuto Natali or lieti, or tristi, cento e mille volte ho salutato il sorgere di questo santo giorno apportatore di bene, nella gioia e nel dolore, la Nascita di Cristo ha soffusa su di me e sulle mie genti la luce divina della stella di Betlemme, ma mai come oggi ho sentito il mio cuore batter si forte, mai come in questi momenti tanto duri e perigliosi sono stato pervaso da questo senso di tranquillità, che mi prende tutto e mi da la sensazione di un bene immenso, di una prossima incalcolabile felicità, della certezza in qualcosa di grandioso.
Tu parli così, Siena, mentre insieme risaliamo la scaletta di S.Paolo e ci confondiamo tra l'onda di vita che dilaga nel corso. Ed aggiungi: guardate quelle donne, quegli uomini; osservarte bene i loro volti... Non la scanzionata allegria di altri ieri di festa, ma quanta serenità in loro, quanta beata speranza. Osservate le strada, gli essere che in questa vanno e vengono. Forse non hanno più la spigliatezza di un tempo, ma il loro incidere è sicuro, il loro procedere è diritto, non tentennano e fanno pensare che mai più tentenneranno nella vita. Posate gli occhi in quelle vetrine. Vedete?... Manca qualcosa, vero? Qualcosa che è un pò il pane natalizio dei senesi, la gioia d'un giorno di ogni mensa, l'attesa di un anno di tanti bambini. Manca l'abbondanza del panforte, manca il soave profumo della nostra delizia invernale; eppure gli uomini non vi pensano, come non pensano a tante altre cose che mancano; pensano invece alle cose grandi che verranno. E sono sereni. Io sono come loro, sereno.
Ci dici così, Siena, e nopi ti rispondiamo: Guardiamo, si guardiamo, con occhi assetati di certezza ed i nostri sguardi riarsi si placano in te, nelle tue genti, in questa natalizia serenità. Hai ragione, le donne e gli uomini son oggi diversi da quelli di un tempo. Ma la lor diversità è soltanto esteriore, perchè sempre essi furon così. Ricordi, Siena, le tue figlie dei tempi che furono? Ce l'hai narrata la tua storia. Avendo offerto tutto alla Patria - alla piccola Patria di allora - avendoti offerto e padri e sposi e figli, avendo gettato ai tuoi piedi le vesti più belle e i gioielli, non avendo più nulla da offrirti si recisero le lunghe trecce in una ultima sublime offerta di se stesse. Sono loro, quelle donne, che in un giorno non lontano gettarono nell'elmo del soldato l'aureo simbolo del loro amore, donando alla Madre Grande ciò che di più prezioso può donare cuor di donna.Sempre le stesse, anche quelle che ora ci sfiorano nel loro tranquillo procedere, che vanno serene verso l'avvenire in questo festoso mattino e che non calcolano le privazioni e non misurano i sacrifici nella continua offerta di tutte se stesse alla Patria, sempre alla Grande Madre.
Gli uomini pure son quelli di un tempo, di tutti i tempi. In una notte di Natale uscirono dai palagi ove banchettavano festosi per ricacciare il nemico che improvviso era giunto alle tue porte. Altro Natale li vide pascersi di eroismo e di sangue, che il pane mancava alla mensa ma non l'ardore ai cuori. E furono in trincea in tante di queste solenni giornate; qualcuna anche nella città olocausta nel dì vermiglio di Gesù. Oggi sono racchiusi in te e, fianco a fianco alle loro donne, vigili sui loro piccoli, marciano impavidi nelle strade della guerra e del lavoro, non vacillano perchè credono, non paventano perchè hanno fede.
Ecco le ragioni della tua serenità, Siena, ecco la causa della eccezion ale bellezza di questa divina giornata.
E' un peccato che manchi il panforte, ma assai più grande peccato sarebbe sarebbe se mancasse lo zucchero lassù nelle trincee coperte di neve. Sapessi come e quanto fa bene al soldato una tazza di caffè bollente e bene inzuccherato dopo mezz'ora di guardia vigile allo scoperto del piccolo posto di vedetta! Sapessi quanto grandi provvidenze divengon al fronte le piccole rinuncie di milioni di italiani!... Ma tu queste cose le sai. La tua esperienza è tanta che nulla può esserti ignoto... Parla, parla, ti ascoltiamo... Dici che sei contenta delle nostre parole?... Grazie, ma continua pure. Cio piace tanto udire la tua voce. Ecco, così, brava, gridalo forte. Ti sentono tutti ora, tutti ti ascoltano, i tuoi figli soldati mentre gridi la tua passione:
Per voi ragazzi, io - e come me le altre cento città, primissime quelle ingigantite dal martirio recente - le mie donne, i miei uomini, i miei bambini siam lieti di goni sacrificio a voi offerto tramite la Patria. Ed oggi, qual dono natalizio, vi offriamo la nostra serenità, la tranquillità di tutti, la certezza incrollabile nella Vittoria.
Brava, bara Siena! Ti ringraziamo anche a nome dei mille e mille compagni d'armi, e contraccambiamo il dono tuo e delle genti con altro parimenti grande: la promessa di dar presto conferma alla vostra certezza.
Senti, Siena, le note gioconde dello scampanio? Ascolti il lieto dindolare dei bronzi? E' festa: è nato il Redentore!
Ma cos'è ora?... Perchè questo rumore?... Non sono più le campane a far udire la loro voce; è il cannone. Arrivederci Siena. A presto. Ritorniamo lassù ove i bronzi cantano una canzone terribile, si, ma pur essa redentrice.

Dino Corsi

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